Ciao mondo!!

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Per sempre… Vostro

Sono tornato a calcare gli amati
e mai dimenticati sentieri del mio pensiero. Li ho scorti impolverati,
infestati dai cespugli che vengon fuori quando un vicolo è poco calpestato,
frequentato. Sono tornato perché ne avevo voglia e soprattutto ne avevo
bisogno.

E allora eccomi qui… impolverato
anch’io come non mi capitava da tempo, volutamente trasandato nel mio riflettere,
visibilmente deluso, provato dal silenzio conturbante del mio sguardo. Questi
occhi da vecchio sognatore, hanno finito di uscire dalle orbite, hanno smesso
di colorare il grigiore dei giorni senza pretese. I miei occhi non verranno
risvegliati da alcuna lente. Hanno chiuso.

Ho smesso di pensare che la gente
possa partecipare del mio modo di essere, del mio modo di pensare. Ho smesso di
aspettarmi una risposta degna, dignitosa, stravolgente. E’ come se in una
partita a scacchi, la solita e struggente partita, qualcuno muova l’alfiere
sempre nello stesso modo, fingendo un attacco per poi restare sempre sulla difensiva.

Io sono stanco di queste partite
scontate. Sono depresso dai copioni che si ripetono, dalle persone che non
sanno entusiasmarmi, della gente che vive con affezione la sua incoerenza. Sono
vecchio ormai, per combattere le battaglie che appartengono solo a me.

Si, mi sento vecchio. Le rughe
del mio essere cominciano a trasformarsi in piaghe dentro le quali non mi va
più di infilare le dita delle mie mani slacciate, sfiancate. Non mi va più di
cercare quel sottile piacere nel provocare dolore alle mie ferite. Non mi va
più di rimuovere la crosta delle mie infezioni, lasciando fuoriuscire il sangue
marcio dei miei silenzi biasimanti.

Come un vecchio trovo appoggio
nel bastone del mio vivere, celando la mia andatura ormai non più sveglia e
interessante. Sono vecchio perché ho smesso di farmi crescere la barba, sono
vecchio perché la gente mi trova sempre al mio posto, in piedi, fermo e severo.
Sono vecchio perché di me si prendono gioco ragazzini strafottenti,
raccomandati e viziati.

Eccomi qui, sulla panchina del
mio giardinetto, fatto di silenzi accarezzati dal vento, di palpebre
leggermente chiuse per non lasciar entrare troppa luce, di mani nodose, di
labbra arse, spaccate, salate.

E’ così che mi sento.
Dannatamente vecchio, con pochi tempi ancora da vivere, scippato del mio meravigliarmi,
del mio sentire il cuore in gola per un’emozione da comunicare. Mi sto
estinguendo, come un fuoco domato, come un esemplare cacciato, sterminato. E voglio
andarmene nel silenzio, senza che nessuno si accorga di nulla, senza che
nessuno abbia anche solo l’impressione di potermi fermare. Voglio scomparire,
continuare a vivere in questo contenitore che è il mio corpo indipendente e
incontrollabile. Voglio sorridere a comando, voglio parlare per dovere, operare
per contratto, voglio essere automa, voglio solo obbedire con perfezione. Si
voglio essere nauseante, perfetto, impeccabile.  

In fondo è questo a cui siamo chiamati.
La costante ricerca di una regola matematica, di una routine comportamentale,
di uno schema di calcolo in cui implementare le variazioni introdotte dalle
condizioni al contorno.

Io mi adeguo. Mi troverete al mio
posto, in piedi, fermo e severo. Ormai non più scapigliato, muto e fiero. Sarò
puntuale. Sarò quello che vorrete, chi cercherete, felice per contratto,
conquistato, comprato, domato. Per sempre… vostro.

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Generazione AVATAR

L’attesa è valsa la spesa prima,
e forse l’impresa dopo. Non è un gioco di parole, come il più classico degli
scioglilingua, ma la frase che avrei voluto sospirare, se solo non fossi stato
in compagnia, dopo aver visto il colossal Avatar.

Non starò qui a recensire il
film, anche perché non ne sarei capace. Nel complesso la mia valutazione sulla
messa in scena, sulla regia, effetti speciali e quant’altro è sicuramente
positiva, di sicuro gradimento. Ahimè anche le realtà più complesse e virtuali
a volte non riescono a rendere meno prevedibili le trame, ma questa è un’altra
storia.

Più volte sulle righe di questo
nostro piccolo giornale, abbiamo parlato della “personalità” virtuale, volendo
indicare con tale termine quell’insieme di comportamenti che denotano una
persona dietro un muro virtuale.

Non è necessario muoversi in
ambienti come Second Life, per poter scoprire il proprio Mister Hyde
cibernetico. Il tempo sempre maggiore che dedichiamo, ormai non solo noi
giovani, alla rete e alla “manutenzione” dei rapporti che essa comprende, fanno
di noi sicuramente delle persone accomunabili a quegli avatar blu che si vedono
nella pellicola firmata da James Cameron.

Costruirsi un altro mondo è
sempre stata prerogativa dell’uomo. Il piano dell’immaginazione però oggi trova
forma concreta in piattaforme, camere, ambienti costruiti da altri: enormi
contenitori in cui ci denotiamo come vogliamo, decidiamo il lato da mostrare,
camuffiamo il nostro ruolo. Quest’ultima frase credo meriti una precisazione.
Nel mondo virtuale non esistono più i ruoli che l’età e la comunità affidano a
ciascun individuo nella realtà. E’ come se le diverse età anagrafiche siano
compresse in un unico spazio temporale, con un conseguente appiattimento
generale che pone tutti sullo stesso piano.

Detto così sembrerebbe una delle
forme più democratiche di espressione, priva di quei filtri comportamentali che
spesso le diverse età pongono nei rapporti. Questa sorta di democrazia dei rapporti, in realtà crea
enormi disfunzioni nell’atteggiamento di chi nella vita vera si trova ad assumere
un ruolo, magari di educatore, e con il suo avatar si diverte a ricoprire, o
meglio riscoprire, quello dell’educando.

Per l’occasione ho rispolverato
una scena che avevo tralasciato da tempo. Mi sono ricordato di quando con i
miei cugini, nei pranzi di famiglia dei giorni festivi, si allestiva il tavolo
per i bambini, perché stessero insieme, mangiassero qualcosa più a loro misura,
avessero l’opportunità di divertirsi un po’, senza arrecare eccessivo disturbo.
Nel pianeta di pixel quel tavolo è unico, sgomitano adolescenti con adulti
dando vita  alla generazione Avatar.

Nella realtà virtuale è probabile
che qualche figlio si vergogni di una frase scritta sul profilo della mamma, o
che una figlia sia meno impaziente di pubblicare le foto della sua cresima, di
quanto non lo sia il padre.

Sarebbe sbagliato pensare che internet
e tutto ciò che comporta sia solo un rischio o che debba essere vietato a certe
persone piuttosto che ad altre. L’avatar è un qualcosa che abbiamo dentro,
qualcosa che forse opprimiamo per non dispiacere qualcuno, ma che
inevitabilmente trova il modo di esprimersi. La rete è solo un catalizzatore di
questo processo, non la causa dello stesso.  E’ come se quella maschera, di pirandelliana
memoria, da opprimente e falsa sia diventata comoda e liberatoria. Da imposta a
scelta. Magari ha sempre lo stesso volto, ma di sicuro il profilo diverso.

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La ricchezza di un odore

Comincio a scrivere queste mie
righe con il pensiero che ogni mattina, solitamente in questo periodo, mi rende
lieto: la consapevolezza di essere fortunato.

Credo che nella consuetudine
l’uomo si senta più sicuro, e così, intento a curare la mia sicurezza, spesso
amo ripercorrere le stesse vie, scrutare l’asfalto amico e incontrare la gente
del quotidiano. La donna che lavora in banca, lo spazzino con il sigaro, il
fruttivendolo indaffarato a sistemare la sua merce.

In questa stagione la mia routine
prevede un odore, l’odore dell’olio che vien fuori dai frantoi al pieno della
loro attività. Prima della pausa pranzo mi piace incontrare i contadini, di
professione o improvvisati, con i loro volti rugosi, impolverati, esausti.
Attendono in silenzio il loro turno, poi, quando è il momento scaricano il
raccolto, scambiano due parole e infine, rientrando in macchina si concentrano
sul quel piatto caldo che li attende e che mai come in quel momento hanno meritato.

E’ il tempo della terra che si
ripropone, puntuale, con i suoi giri e le sue annate. I lavoratori stagionali
aspettano il loro “natale”, quello con la minuscola, i frantoiani concentrano
le loro energie, l’oro giallo rende ricchi tutti: i grandi proprietari, come i
piccoli contadini, fieri di assaggiare il loro prodotto, sicuri che sia il
migliore sulla piazza.

In fondo i contadini sono così:
certi per professione. Sicuri del loro fare, inappuntabili a loro dire.

Dicevo della mia fortuna. Spesso
penso a quanti miei coetanei si perdano tutta questa ricchezza. Non si
accorgano della loro storia, della loro terra, delle tradizioni del loro paese.
C’è una abitudine favorita anche dai genitori, a sottovalutare le opportunità
del lavoro manuale, del sapersi prendere cura del proprio terreno, della
passione di dare ad una madre che ancora oggi, nonostante il disprezzo della
mentalità, continua a deliziarci dei suoi frutti.

Mi viene in mente quella
sensazione che provavo quando ero bambino. Quando si raccoglievano i panni
carichi di olive per poterli poi, con tecnica sopraffina, svuotare in un sacco,
mi piaceva infilare le mani tra le olive. Sentire l’umidità sul dorso delle mie
dita, avvertire il calore della massa sul mio palmo, respirare la fragranza
derivante dai frutti pestati dai contadini indaffarati.

Il linguaggio della terra è
quello più semplice da capire, potrebbe sembrare banale, ma nasconde sempre
insegnamenti nuovi e fondamentali. Nasconde ancora novità e ha ancora risposta
da dare, se solo qualcuno si interessasse a porle ancora domande.

In un’epoca in cui l’
“università” di massa, ha debellato la vecchia equazione ignoranza pari ad
analfabetismo, non credo sia un’eresia dire che spesso merita più attenzioni la
saggezza silente di un contadino che i vani discorsi accademici.

Ritornare alla terra potrebbe nascondere un futuro prosperoso. I
contadini amano dire: “siamo sotto il cielo”. Loro della precarietà ne fanno
una filosofia.. eppure sono ancora lì, dipendenti dell’unica Padrona mai in crisi.

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Maksim, bambino gentiluomo

Ricordo ancora quello sguardo filtrato dai vetri impolverati del pullman che lo portò in questa terra. I suoi connazionali erano già scesi e si mostravano prodighi di coccole e attenzioni verso coloro che li accoglievano, lui, svogliato, stentava a venir fuori.

Finalmente convinto, si presentò nei suoi occhi pieni di cielo e nel suo ghigno da uomo vissuto. Si propose così a me e ai miei genitori. Ci strinse la mano sudata, sussurrando il suo nome, pronunciato stringendo la bocca, sospirando quasi la desinenza. È difficile anche solo ricordare ciò che si inseguì nella mia mente in quegli istanti. Timore, gioia, commozione, compassione… il tutto miscelato con una buona dose di incredulità ed incertezza. Il tutto produsse il mio silenzio.

Dopo le presentazioni e i saluti di rito fu lui a scuotermi per il  braccio. Voleva andare a casa. E così fu.

Maksim si è presentato così, nella sua disarmante naturalezza. Nel suo nome è scritta l’esperienza che con la mia famiglia ho avuto la fortuna di vivere: l’accoglienza di un bambino bielorusso che vive in un territorio vittima di quella che ancora oggi continua ad essere un disastro senza precedenti: l’esplosione della centrale nucleare di Chenrobyl.

Più volte mi è capitato di partecipare ad iniziative di solidarietà, di volontariato, ma accogliere un bimbo nei luoghi che sono tuoi, cedere il letto a questo angelo dagli occhi di ghiaccio, sacrificare i tuoi tempi, le tue abitudini… credo non abbia paragoni.

Sapete, scoprire la sua voglia di conoscere, di scoprire, di sognare. La sua voglia di correre in bici, di vincere le sue piccole paure, di imparare a nuotare, di fruire della compagnia che quel giorno gli dona… tutto questo è stato per me una riscoperta di quella gioia di vivere che forse non mi appartiene più e che troppo poco spesso incontro nelle persone del mio tempo.

Ho cominciato a metabolizzare ciò che ha significato per me la presenza di Maksim, solo dopo la sua ripartenza. Parafrasando il titolo di un famoso film mi verrebbe da dire che “Il favoloso mondo di Maksim” è passato da qui, coinvolgendo piccoli e grandi, ridando luce a dei meccanismi forse mai estinti, ma di sicuro impolverati, condividendo il suo sorriso e la sua voglia di stringerti la mano.

Ho imparato da lui che tutto può essere superato con un sorriso, con un silenzio. Tutto può essere condiviso, perché la vera ricchezza sta nell’altro, nella sua vita, nel suo cuore che senti battere quanto lo tieni sulle ginocchia per giocare un po’. Mi ha fatto conoscere ciò che chiamerei l’orgoglio di essere venuto al mondo: seppur in mezzo a tanto dolore, povertà, difficoltà. Non ho mai visto nei suoi occhi la gelosia per un mondo che non ha, bensì la fierezza di poter crescere, di poter essere, a suo modo, il protagonista del mondo. Il suo rispetto per le cose e per le persone, è degno di un uomo vissuto.

Maksim si emoziona ancora per un aquilone o per un peluche dimenticato in macchina, per una semplice passiggiata, ride della sua lingua sgrammaticata, ironizza sui suoi modi di fare. E’ un gentiluomo: divide ciò che ha, accetta qualcosa solo se gli altri l’accettano, a meno che non si tratti di macchinine!

Queste mie parole, miste tra diario e riflessione, sono dedicate a colui che è entrato nella nostra vita con un passo silenzioso e curioso, sicuramente titubante, per poi uscirne con la consapevolezza di aver lasciato una sua firma nei nostri cuori.

A presto Maksim, bimbo rimasto bambino.
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Il popolo dei Minimei

La fiamma elettorale ha bruciato le ultime esitazioni degli italiani che non hanno perso occasione per deludermi e pormi ulteriori spunti di riflessione. Se è vero, come è vero, che l’auspicato raggiungimento del consenso largo, o, per così dire, del prostrarsi completamente ai piedi del cavaliere è stato evitato, è anche vero che il risultato elettorale non lascia via di scampo ad una sinistra, volutamente con la minuscola, indifendibile, frazionata, in una parola perdente.

L’analisi che cerco di fare si discosta da quelle che leggo sui giornali e che fanno riferimento al mero risultato numerico, fatto di percentuali e voti reali, di sbarramenti e soglie, di raddoppi o di perdite colossali. Il mio ragionamento è sull’indirizzo che oserei definire sociologico, che è alla base di un certo risultato.

In Europa è stata netta la ventata di centro destra e credo che anche  le attestazioni delle liste xenofobe nella parte est del vecchio continente, non facciano che aumentare questo vento, dandogli connotazioni spaventose ed inquietanti.

Pur considerando lo scenario globale, non va sottovalutata la particolarità italiana. Io credo che sia giusto analizzare il comportamento dell’attuale maggioranza, con in testa il premier, cercando di mettere in evidenza quello che in altri paesi europei ed extraoceanici non sarebbe mai potuto avvenire.

Storie come quella di Noemi, quella relativa agli aerei di stato, come le veline prima addestrate da Brunetta, Quagliariello et company e poi ripudiate per non rischiare di crollare nel “ciarpame”, in altre democrazie europee avrebbero avuto come risultato le dimissioni del protagonista con tanto di damnatio memoriae politica. Basti ricordare le dimissioni per i rimborsi del parrucchiere in Inghilterra per notare la netta diversità di trattamento e considerazione che, ahimè, noi italiani riserviamo alla nostra casta.

In Germania il primo ministro Merkel non si è augurato che ci fosse una cordata tedesca per l’acquisizione dell’Opel. Ha condotto e supervisionato su una leale concorrenza europea, nell’unico interesse di salvaguardare azienda e posti di lavoro. Non credo che la vicenda alitaliana sia stata dello stesso tenore.

Il fatto che in Italia persone come Mastella siano state elette nelle ultime europee, per non parlare del fatto che in tutti  i telegiornali “che si rispettino” venga a parlarci il Sig. Capezzone, che solo qualche mese fa parlava di qualcosa distante anni luce da ciò che afferma oggi… beh credo che tutto questo basti a connotare con vigoria la poca serietà del popolo italiano.

Nel nostro bel Paese succedono cose che altrove non sono ammesse, con l’unico risultato che la stampa estera e la considerazione degli altri paesi nei nostri confronti decresce come 1/K indicando con K la costante delle cazzate che vengono fuori dal nostro scenario politico.

Non escludo dalla mia critica e dalla mia analisi la sinistra sprecona, narcisista e più che mai frammentata. Le due Sinistre radicali, come ormai amano definirsi anche loro, hanno dichiarato dopo il risultato che “ci si poteva mettere insieme”. Detto da personaggi come Ferrero fa un po’ ridere visto quanto è successo nell’ultimo congresso di Rifondazione. Un occhio compiaciuto lo riservo al conterraneo Vendola che fin dalla sua campagna ha aperto alla collaborazione, alla messa in atto di un cantiere politico che però non si trasformi in una babele di opinioni, posizioni opposte e contrarie. Verso questo credo debba indirizzarsi il povero PD che comunque ha “tenuto” come dice il pur degno Franceschini, con lo stesso tono di un allenatore che ha strappato il pareggio dopo che la squadra avversaria ha colpito solo pali e traverse.

Il fatto che un progetto come quello del Partito Democratico si spenga nelle mille e tortuose vie dei suoi esponenti più affezionati alle vecchie posizioni che interessati al cammino unico, fa in modo che la dispersione dei voti la faccia da padrona a vantaggio di partiti come Italia dei Valori e UDC in cui c’è solo un leader che parla e che dà un indirizzo, nel più berlusconiano dei modi possibili. Nel PD si ha sempre la sensazione che si possa dire tutto e il contrario di tutto. Un partito moderno non può mancare di un, dico uno, tema centrale con il quale tutti siano in sintonia. L’accozzaglia di voci per adesso fa il gioco del cavaliere che nonostante lasci ampi spazi alla Lega incalzante, ottiene sempre il parere unanime dei suoi servi.

Al PD attendono nuove prove, prima della grande prova congressuale che spero si faccia in autunno. Tematiche come quelle del referendum mettono a dura prova le posizioni dei democratici. Converrà virare verso quel famoso bipartitismo, consci del fatto che già ora nonostante si abbia la stessa tessera, non la si pensi nello stesso modo? Oppure si cercherà di aprire scenari di coalizioni, che altro non potranno che ripresentare il crogiolo informe di prodiana memoria?

Credo che tutto questo restituisca un unico messaggio complessivo, quello della povertà riflessiva degli italiani. Siamo diventati un popolo minuscolo, di quelli che come diceva una canzone, non entrano nei libri di storia. Il popolo dei Minimei. Intrisi di realities, capaci di assorbire tutto ciò che non è normale ma che qualcuno, con i suoi mezzi, rende reality. L’astensione non è frutto di una scelta politica, bensì di un totale disinteresse che diventa drammatico se si considera che anche gente che almeno sulla carta dovrebbe essere alfabetizzata, si rinchiude nel più classico dei moniti ignoranti come: “Sono tutti uguali, non mi interessa”.

La chiave sta in noi, nell’interesse, nel parlare, nell’informarsi. Il mondo giovane deve scrollarsi di dosso il torpore della televisione, dell’informazione solo assorbita e mai cercata o riflettuta. Esperienze come quelle di Debora Serracchiani in Friuli dimostrano che si può essere ancora bravi ad incontrare la gente e a raccogliere la fiducia dell’elettorato. “Porta a porta” era il vecchio modo di fare politico di un grande uomo che rispondeva al nome di Enrico Berlinguer… oggi è solo una comoda poltrona bianca su cui più di qualcuno ama sedersi sapendo già che domanda gli verrà rivolta.

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Repubblica Giovanile

Quando ero ai tempi delle elementari, sul libro di geografia, c’erano delle schede che accompagnavano le mappe politiche degli stati che si avvicendavano nel nostro percorso di apprendimento. Tra queste schede c’erano la demografia, la lingua, religione e quella relativa agli usi e costumi.

E’ un po’ di tempo che mi chiedo cosa potrebbe scrivere un curatore di sussidiari per la scuola su di noi giovani. Proviamo ad abbozzare una scheda.

Colore della pelle: le popolazioni giovanili rispondono ai classici ceppi somatici che contemplano le varie carnagioni. Tuttavia amano sottoporsi a brevi ma frequenti trattamenti con radiazioni atti a conferire loro la sospirata colorazione mulatta nella totalità delle stagioni. Questo accorgimento ha risolto il problema del razzismo a scuola ma innalzato il rischio di rimpatrio su barcone noleggiato.

Lingua: gli individui a partire pressappoco dai 12 anni (il limite superiore è costantemente in crescita) si esprimono con una particolare proprietà di linguaggio che oltre alla classica abitudine di utilizzare l’indicativo in luogo del congiuntivo, adotta nelle comunicazioni brevi e veloci simboli rispondenti alla categoria emoticon. La messa a punto di un nuovo dizionario ha definitivamente sancito la perfetta compatibilità tra le lettere “c” e “k”. Termini come “clikkare” “sekkare” hanno segnato una rivoluzione nell’accademia della Crusca. A questo si aggiungano le abbreviazioni negli sms che hanno permesso un risparmio energetico eccessivo con un abbattimento delle emissioni di biossido di carbonio. Nell’era dell’EKO-Kompatibile, termini come “xkè”, “sxeriamo”, “t.t.t.t.v.b.” hanno permesso un risparmio di energia chimica dovuto al minimo spostamento utile del pollice opponibile.

Religione: il battesimo e la cresima sanciscono l’ingresso in società con il famoso “Ballo dei teatranti”. La religione più diffusa è quella dei Cristiani non praticanti, un nuovo scisma fondato da un cantante vincitore del festival di Sanremo con la canzone “Luca era un chierichetto”. Grosso incremento hanno riscontrato le nuove religioni D.O.P. consorziatesi negli ultimi anni. Si va dalla setta del vino, a quella della birra fino ad arrivare alle bevande eccitanti. Nella sezione Profeti riscuotono successo i grandi riti del monte “Mediatico”, con periodi dedicati alle tre divinità di X Factor, all’oracolo amico di Maria e al culto del sacro ciuffo di Malgioglio. Visibile anche sul digitale terrestre.

Economia: le attività produttive si concentrano essenzialmente nel settore terziario: Fantacalcio, Comunicazioni messenger e servizi di telefonia mobile. Per tali attività c’è bisogno di procacciarsi una connessione adsl, un cellulare e il foglio delle quotazioni aggiornate dei giocatori di Serie A.

Usi e costumi: il popolo dei giovani ama incontrarsi nell’Agorà di Facebook sancendo il passaggio epocale dal pettegolezzo figlio della tradizione orale a quello scritto in html. I docenti universitari per interloquire hanno messo a punto una modalità d’esame in cui l’unico quesito posto è: “A cosa stai pensando?”. Da un punto di vista sociologico seguono la filosofia del “simile che conosce il simile”. Per poter conoscere una ragazza bisogna prima fare la dichiarazione dello stato guardaroba attraverso modello unico o modello 501.

Le abitudini alimentari seguono la dieta mediterranea fatta di hamburger e patatine, anche se la continuità con la tradizione è garantita nei giorni rossi sul calendario in cui, oltre alla classica grigliata si degustano cozze, accompagnate con provolone, e tartufi di mare.

Tra gli hobby e gli interessi spiccano lo zapping internauta, la Russian Premiere League, il caffè nel miglior Bar di paese. Per le donne ampio successo riscuotono i Centri d’Ascolto Coiffer, i corsi di cucina e di parcheggio agevolato.

Questo è quanto si potrebbe trovare a studiare un bambino se dovesse capitare sulla pagina di uno stato che potremmo chiamare Repubblica Giovanile. Il bambino assonnato, dopo aver visto la puntata dei cartoni animati, affronterebbe un simile studio accomunandoci alle più classiche delle popolazioni indigene come aborigeni e amazzoni. Senza particolare interesse o curiosità, sicuro che l’indomani il maestro gli avrebbe chiesto: “ A cosa stai pensando?”

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Biglietto? No, scendo!

Le righe che sto per scrivere e voi per leggere, prendono forma a partire da una grossa sfuriata che ho avuto nei confronti dei ragazzi che, indegnamente, seguo nel processo di formazione cristiana. La ramanzina, come si diceva una volta, era partita dal loro scarso interesse, dalla poca partecipazione, per non parlare dallo stile con cui partecipano, quando non sono dal “famoso” dentista che opera anche di domenica, alla celebrazione della messa.

La mia invettiva prendeva corpo e ascendeva nel suo massimo climax quando ho parlato dei biglietti della loro vita, che spesso timbrano ora in questo ora in quell’autobus, perché tutti lo fanno, perché tutti lo vogliono, perché è semplicemente così.

Se ci pensate non siamo ancora nati e c’è chi già pensa al nostro futuro, prossimo e lontano. Sarà battezzato, diventerà ingegnere, poi a dieci anni la comunione, la cresima, poi gli anni della scuola superiore. E ancora l’università, il lavoro, il/la fidanzata/o, il lavoro e un bell’impacchettamento verso quella che è la dolce vita della norma.

Non è mia intenzione discutere ed eventualmente criticare la scelta di tante persone che dignitosamente portano avanti la loro vita e quella dei loro cari. Giù il cappello per tutti. La mia riflessione si spinge verso i giovani, verso me stesso, verso chi scorgo insoddisfatto, incastrato nei temi che appartengono ad altri, nelle scelte che non sono mai partite dal loro cuore. C’è la facoltà del padre, lo sport che piace alla madre, le amicizie che sono gradite.

Un giorno ci si ritrova adulti, senza aver mai scelto e con delle responsabilità che non ci appartengono. A volte il senso comune ci porta a farci sentire mediocri, se siamo  “fuori posizione”. Ho 30 anni e non ho ancora trovato un partner, il lavoro scarseggia. La gente mi guarda in cagnesco, come se quel giorno del battesimo, già quello che per definizione i genitori scelgono per me, qualcuno non mi avesse tolto il peccato originale.

E’ come se esistessero tanti personaggi di un unico grande film con il finale già scritto. Come se le nostre rotaie, fossero saldate ai binari che altri hanno tracciato per noi. Un treno inarrestabile che ci risucchia con gli impegni, con il tempo imposto.

I pochi capelli rimasti ormai scoprono la mia testa. Mi fanno sentire più grande e quasi non ho più voglia di sognare, di provarci. Su quella stessa testa qualcuno ha posto delle ceneri dicendomi “convertiti”.Che la conversione sia proprio scendere da quel treno che corre veloce verso il destino prestabilito. Che quelle ceneri siano la forza per lanciarsi dal finestrino, magari rischiando di ritrovarsi pieni di graffi, ma con la possibilità di porre sulla terra i nostri piedi. Che il cammino voluto dalle nostre gambe, ci porti a trovare la naturalezza di scegliere, dandoci in mano la libera patente della vita, sprovvisti dei biglietti per le tappe forzate.

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PeDaLeREMO

A conclusione della settimana sanremese scorgo un paese tutto preso dalle polemiche sul vincitore, sulla “visita” della de Filippi. Poi c’è “Luca era gay”, la Zanicchi sfavorita dal Benigni nazionale.

That’s all. Mi verrebbe da dire… questo è tutto, questa è l’Italia che amiamo e produciamo.

Nel frattempo succede il finimondo tra un partito che doveva rivoluzionare la storia politica del nostro paese e un cavaliere che ancora una volta trova il modo di raccogliere consensi.

Walter è rimasto Soru, come recitava la mia frase sul messenger, l’indomani delle sospirate dimissioni dell’ormai ex segretario del PD.

Sottolineando come già in precedenza Veltroni avesse raccolto simili prestazioni (aveva portato al minimo storico di consensi il PDS), mi vien da dire: “non poteva finire diversamente”. Se si dovessero analizzare i passi che hanno portato alla tanto auspicata formazione del partito democratico, non è difficile notare come il processo di fusione dal basso delle due compagini politiche preesistenti non si sia mai avuto. Le famose primarie con un flusso spropositato di gente era una messa in scena tipica italiana. Nulla a che vedere con le primarie americane.

La fusione, che di fatto è avvenuta dall’alto, non ha generato integrazione. Chi mastica un po’ di matematica sa che c’è una differenza tra somma algebrica e integrazione. Azzardando direi che il pd è il risultato di una somma “al ribasso” ed è distante da una vera integrazione. La somma è sempre scomponibile, c’è la famosa regola commutativa. Si possono cambiare gli addendi, il loro ordine, ma il risultato è sempre lo stesso. L’integrazione invece prevede una funzione che sia continua, almeno in un certo intervallo.

Questo intervallo, nello spettro delle frequenze politiche si è ridotto notevolmente, lasciando ampi margini incustoditi a sinistra e non sfondando al centro. La sinistra è diventata extraparlamentare per la famosa teoria del voto utile. Il centro in Sardegna ha preso percentuali elevate, con interi comuni dalla sua parte.

Il Pd, fin dall’inizio della sua formazione, ha sempre evidenziato le sue fratture interne. Non c’è mai stata unione di intenti, nemmeno su un singolo argomento. Questo non poteva che generare un’opposizione spenta e bonacciona, con il solito Uòlter che si ostinava ad adottare una falsa condotta del politically correct, ma che ha avuto il solo effetto di giocare al giuoco (proprio come ama dirlo lui!) berlusconiano.

In tutto questo qualcuno si salva da un processo, quello per cui Mills è stato condannato, solo per il Lodo Alfano e nessuno ne parla, almeno nei termini e con l’insistenza che un tema del genere meriterebbe. Non si parla delle violenze e della tanto famosa sicurezza per la quale il partito del predellino aveva vinto le elezioni sbancando anche nella capitale. L’opinione non inorridisce nemmeno quando il presidente del consiglio sul caso Englaro non trova meglio di dire, se non che potrebbe essere resa gravida, con una delle espressioni più volgari che si potesse fare su un tema così delicato. Non è finita qui. Si forza lo scontro istituzionale facendo un decreto ministeriale su un tema di incidenza etica e di una delicatezza così elevata, che meriterebbe le migliori sedute parlamentari.

Faccio notare che solo due anni fa quando si era in crisi si addossavano tutte le colpe all’allora presidente del consiglio. Oggi la crisi, per qualcuno inesistente, non miete la corrispettiva vittima. La società è così intrisa di berlusconismo propagandista che si lascia scivolare addosso di tutto. In altre democrazie, ben diverse dalla nostra, tutto questo sarebbe alla base dei discorsi e del malcontento dell’opinione pubblica.

In Italia tutto si ferma a Mourinho, alla Champions League, a Sanremo, ad Amici o X Factor. E non venite a raccontarmi che non è così, troppo banale.

Siamo in un paese in cui si autorizzano le ronde per tutelare la sicurezza, ronde che risultano “disarmate”, solo per un emendamento dell’opposizione, sveglia almeno in quell’occasione. Siamo in un paese in cui non possiamo permetterci un piano anticrisi dello stesso tenore di altri paesi perché non ci sono soldi. Qualcuno ha vinto le elezioni dicendo che non avrebbe messo mani nelle tasche degli italiani, ma nessuno dice che la pressione fiscale è aumentata.

La risposta è il PD, concentrato sui giochi di poteri. La risposta è Franceschini, che dovrebbe essere un giovane della politica italiana. La realtà parla di giovani che la sera rimangono a casa per vedere X-Factor, giovani che hanno perso il loro fattore, la loro rabbia. Sono già in pensione, prima di vedere il loro primo, scarnito contratto a progetto. Sono anziani perché non vanno oltre le chiacchiere da bar e questo, ahimè, come ho detto da qualche parte, non è un paese per vecchi.

Un giorno, si spera, "giovaneremo".

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Amen

Il quando di queste parole è una sera passata al computer dietro a formule ed elettroni caldi. Una sera che segue una mattinata, un pomeriggio, al computer per questo o quel lavoro. I miei occhi sono piccoli piccoli, i miei capelli stirati, inumiditi dalla stanchezza. È la sera della morte di Eluana, che ha trovato la sua pace, il suo silenzio. Potreste dirmi che era in silenzio da tanti anni, ma forse le sue orecchie non hanno mai smesso di ascoltare opinioni, pareri, dettami, sentenze, non ultimo il decreto ministeriale, sul suo conto.

I dibattiti si sono susseguiti, le posizioni moltiplicate, poi non così tanto, perché in fondo ho ascoltato solo posizione da questa e da quella parte. Pro o contro. Grandi manifestazione di attaccamento alla vita, ridotte da manifestazioni ridicole quanto irrispettose. I cristiani che hanno indossato la loro solita bella copertina. Qualcuno che ha cavalcato l’onda per prendersi un po’ di popolarità istituzionale, qualcun altro che ha provato a catalizzare l’attenzione pubblica sul caso Englaro, cercando di distogliere la flessione dei suoi prelibati sondaggi.

Nel più classico problema di bioetica, credo che non si possa non focalizzare l’attenzione su quella che è la grandezza di certi problemi e su come sia impossibile rispondere a pieno, nella piccolezza delle circostanze dell’uomo.

I vecchi professori di filosofia amavano fare la distinzione tra la potenza e l’atto. Credo che il fatto stesso che veniamo al mondo sia una perdita di potenza. Il nostro esistere sancisce una netta separazione con quella che è l’idea, l’essere, ontologicamente parlando.

Potremmo stare giorni interi a sorbirci Vespa e Mentana, ascoltando ora questo ora quel parere. Il punto è che bisogna trovare una soluzione pratica ad un problema che pratico non è. Legiferare su qualcosa che è puramente filosofico, puramente poggiato su concezioni, filosofie è assolutamente complicato, ma altrettanto urgente ed indispensabile.

Credo sia sbagliato pensare semplicisticamente che la vita di Eluana non fosse degna di essere vissuta, solo perché paragonata a quello che ci sembra l’unico modo di vivere e di percepire. Anche un malato di mente, incapace di intendere, forse dimenticherebbe di cibarsi e morirebbe se non ci fosse qualcuno a seguirlo. E allora qual è il limite, il contorno al quale muoverci. Elencare le eventualità sarebbe inopportuno e quanto mai vano.

Rimane la pietra angolare della coscienza, della libertà di coscienza. Ed ecco la via pratica del testamento biologico.

Le grandi campagne mediatiche della chiesa spesso mi fanno pensare e dubitare. Mi chiedo perché mai non si spendano simili energie per educare la gente, formare i cristiani a saper scegliere anche in presenza di una legge che però tutela chi non crede. Non credo che un cristiano debba temere l’esistenza della possibilità di un aborto, di una fecondazione assistita o di qualsiasi altra cosa soggetta a dispute di questo tipo. Credo piuttosto che si debba formare la gente che si dice cristiana, a sapere in che cosa si crede, a smettere quella copertina di battezzati incoscienti.

C’è una possibilità di uscirne da paese civile, da Paese. Il decreto del cavaliere lampadato mi sembra una buffonata, una forzatura per generare anche un conflitto istituzionale fuori luogo. Ma dal cavaliere non mi aspettavo una risposta matura. Provo ad aspettarmela ancora da qualcuno, pochi veramente, ma in fondo crediamo che il miracolo possa capitare. Amen.

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